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La formazione del nuovo governo Draghi ha determinato l’alleanza politica di tutti i partiti della grande e piccola borghesia italiana con l’ingresso nel nuovo esecutivo da parte della Lega, di Forza Italia, del Partito Democratico, del M5S, di LEU e di IV. La stessa Giorgia Meloni, pur rimanendo, per fini elettorali, al di fuori della grande ammucchiata, ha comunque dichiarato il massimo rispetto per Draghi e che valuterà il sostegno sulle singole misure economiche. La compromissione del centrosinistra nei confronti di Salvini e Berlusconi è pressoché totale e dimostra ancora una volta come il PD e la “sinistra radicale” non potranno mai essere alternative politiche alle destre. Gli interessi di classe prevalgono al di sopra di tutto e di tutti. Dopodiché all’unità dei partiti politici si è associata anche l’unità del circo mediatico, composto da miserabili opportunisti delle direzioni di tutte le agenzie di stampa e mainstream, che ha garantito un appoggio incondizionato (ad es. si veda la propaganda con insulsi sondaggi che indicano un sostegno popolare spropositato a Draghi) al fine di convincere la classe media, i salariati e i disoccupati che Mario Draghi governerà nei loro interessi.
L’apoteosi degli interessi della borghesia è rappresentata nella forma più limpida dalla squadra di governo, che vede la presenza in diversi ministeri: di ex manager di aziende strategiche come Colao (Vodafone) per l’Innovazione Tecnologica o Cingolani (Leonardo) per l’Ambiente e la Transizione ecologica; di accademici di punta ed economisti “di alto profilo” come Franco (direttore generale della Banca d’Italia) per l’Economia, Bianchi (economista al servizio dell’ex ministro Azzolina) per l’Istruzione, Cartabia (ex presidente della Consulta e membro di Comunione e Liberazione) per la Giustizia, Giovannini (economista e statistico a capo dell’ISTAT ed ex ministro del Lavoro nel governo Letta, anch’egli vicino a Comunione e Liberazione) per le Infrastrutture, Messa (rettrice della Bicocca) per l’Università. Discorso a parte merita l’incarico, in barba al pagliaccio Grillo, del Ministero per lo Sviluppo Economico a Giancarlo Giorgetti, luogotenente storico della Lega (nelle segreterie Bossi, Maroni, Salvini) e volto atlantista (a dispetto del folklore di Salvini che dispensava selfie a Mosca con la maglia raffigurante Putin) e filoeuropeista (ma anche qui, come si è visto, l’antieuropeismo di Salvini è più folklore che altro) del Carroccio. Giorgetti è l’eminenza grigia e bocconiana, che più di tutti in quel partito mantiene, sempre e comunque in accordo con Salvini, il contatto diretto con la sua base sociale: la media borghesia produttiva del nord. È un riferimento fondamentale per il capitalismo italiano (che proprio nel nord ha la sua locomotiva), di cui anche in questo governo si appresta a essere fedele servitore. Un governo, quindi, di rappresentanti che provengono tutti dai “piani alti” e dagli strati benestanti di questa società e non si capisce minimamente perché dovrebbero fare gli interessi delle classi sfruttate, le quali stanno pagando il prezzo più alto della crisi economica e sanitaria.
Detto ciò, oggi più che mai, occorre lavorare all’unità della classe lavoratrice, attraverso la costruzione di una sua organizzazione indipendente, con un proprio programma politico e parole d’ordine a difesa di diritti e salari, contro l’unità della borghesia, espressa dal governo Draghi dei banchieri e degli industriali, i quali non aspettano altro che avere mano libera per licenziare centinaia di migliaia di lavoratori e aumentare i propri dividendi aziendali a svantaggio della maggioranza della società sfruttata.