Nell’invasione russa in corso… sono gli operai, quelli che fanno funzionare la nazione, che stanno morendo!
Nei giorni scorsi, l’assedio e il massacro diffuso in Ucraina, e soprattutto nella città di Mariupol, hanno occupato la scena. Questa città, che ospita il più grande porto commerciale del Mar d’Azov ed è riconosciuta come “la capitale dell’acciaio” per essere uno dei centri metallurgici e di produzione di macchinari più importanti del Paese, ha una popolazione stimata di quattrocentomila persone, e si ritiene che più di centomila, cioè un quarto della sua popolazione totale, siano circondati e assediati nella già demolita Mariúpol.
Per conoscere la grandezza di questa vera città operaia, inizieremo col dire che tra le grandi acciaierie di Mariupol si trova Azovstal, uno stabilimento che occupa undicimila lavoratori in un enorme stabilimento industriale di 11km². Azovstal è una delle più grandi acciaierie d’Europa (ha una dimensione simile a quella dell’ex-Ilva, ora joint-venture Cassa Depositi e Prestiti, ArcelorMittal, che occupava circa undicimila lavoratori nel 2019 e si estende su 15km² della città portuale di duecentomila abitanti di Taranto, ndTrad.), produce quattro milioni di tonnellate di acciaio all’anno ed esporta la maggior parte della sua produzione nel mondo. Di questi undicimila lavoratori, si stima che solo circa quattromilacinquecento siano riusciti a emigrare fuggendo dall’assedio criminale imposto loro dalla Russia affermando che Azovstal non doveva essere distrutta, ma chiusa in modo che “nemmeno una mosca potesse uscire o entrare”. Mentre la Russia usa la falsa retorica che sta conducendo una battaglia contro il fascismo per liberare la nazione, più di duemila lavoratori siderurgici con le loro famiglie, mogli e figli si ritrovano rinchiusi nell’acciaieria cercando di sopravvivere, con la mancanza di acqua, cibo e comunicazioni.
Solo tra lo stabilimento Azovstal e il gigante Illich (la seconda azienda siderurgica ucraina, anch’essa situata a Mariupol) si concentrano quarantamila lavoratori, ovvero il 10% della popolazione totale della città. Azovstal e Illich rappresentavano circa un terzo della produzione di acciaio grezzo dell’Ucraina nel 2019.
Entrambe le acciaierie appartengono al conglomerato Metinvest Holding, di proprietà del grande oligarca ucraino Akhmetov, che fino alla rivolta di piazza Maidan (nel 2014) era un alleato di Putin, un “filo-russo”, ma da allora finanzia il partito dell’attuale presidente, Zelensky.
A sua volta, Mentinvest appartiene a System Capital Managment che comprende 100 società, i cui maggiori conglomerati sono Mentinvest (minerario e metalli) e DTEK (energia e ingegneria pesante). System Capital Management ha un numero di dipendenti pari a duecentomila. L‘Ucraina è il dodicesimo produttore di acciaio al mondo e Metinvest ha rappresentato lo scorso anno il 45% della produzione di acciaio grezzo del Paese.
Ma se parliamo delle grandi fabbriche in Ucraina, non possiamo non menzionare la più grande azienda siderurgica integrata del Paese, lo stabilimento di ArcelorMittal, nella città di Kryvyi Rih, a soli quattrocento chilometri da Mariupol. Questo stabilimento ha ventiquattromila lavoratori, che coprono l’intero filiera della produzione, dall’estrazione del minerale di ferro e dalla produzione di coke alla fabbricazione di prodotti in metallo finiti e laminati in acciaio profilato, tra gli altri.
L’acciaieria Kryvyi Rih è stata privatizzata nel 2005 e acquistata dalla francese ArcelorMittal, per soli quattro miliardi e ottocento milioni di dollari, una cifra irrisoria. Fino alla sua privatizzazione nel 2005 contava cinquantasettemila lavoratori, aveva fattorie, ospedali e scuole e l’intera città di Kryvyi Rih con i suoi seicentocinquantamila abitanti era organizzata attorno a questa enorme fabbrica. Nel 2011 erano rimasti solo trentasettemila operai e all’inizio del 2022 solo ventiquattromila lavoratori dovevano organizzarsi per garantire l’intero ciclo produttivo: dall’estrazione del minerale, in miniere a cielo aperto e di estrazione sotterranea, alla fusione dell’acciaio, per l’industria petrolifera e bellica russa e per il mercato mondiale.
E quando le forze russe hanno minacciato di raggiungere la città di Kryvyi Rih, tutti i dirigenti sono fuggiti in Polonia, lasciando soli i lavoratori a difendere lo stabilimento, il loro posto di lavoro, organizzando la produzione sotto l’assedio e, ai primi di marzo quando è stato richiesto, hanno attraversato il complicato processo di spegnimento degli altiforni. Bisogna evidenziare che Putin non ha toccato nemmeno una lamina di metallo in questo stabilimento ArcelorMittal dell’imperialismo francese che presto è tornato in produzione.
Sono gli stessi operai supersfruttati di ArcelorMittal che nel 2018 hanno scioperato reclamando investimenti nel rinnovamento dei macchinari, migliori condizioni di lavoro e aumenti salariali, perché hanno uno degli stipendi industriali più bassi al mondo, guadagnando 20 volte meno dei loro fratelli dei Paesi imperialisti e che nel 2021 hanno avuto appena un irrisorio 1% d’aumento che è stato divorato dall’inflazione ucraina. Perciò non sorprende che, già prima dell’invasione russa, il 20% dei lavoratori ucraini fosse costretto a migrare forzosamente a svolgere i lavori peggiori nell’Europa imperialista, poiché l’Ucraina ha lo stipendio medio più basso (420$ circa 405€ ) e la pensione media più bassa (110$ circa 106€) d’Europa.
Come abbiamo detto, Mariupol è anche una città portuale, la seconda per importanza dell’Ucraina, situata strategicamente sul Mar d’Azov, parte del Mar Nero. Con le sue profonde banchine, è il porto più grande della regione del Mar d’Azov. In tempi normali, Mariupol è un centro di esportazione chiave per l’acciaio, il ferro, i macchinari, il carbone e il mais dell’Ucraina che vengono esportati nel mondo. Attraverso i porti di Mariupol, Odessa, Mykolaev e Kherson, il 95% di queste esportazioni viene spedito. Il numero dei lavoratori portuali in Ucraina supera gli ottantamila.
Nonostante la catastrofe nucleare di Chernobyl, prodotto della pigrizia della burocrazia stalinista, abbia contaminato più di centocinquantamila km² (praticamente mezza Italia, ndTrad.) delle terre nere dell’Ucraina, è ancora considerata “il granaio del mondo”, con la capacità di sfamare seicento milioni di persone.
L’Ucraina è il Paese con la più grande superficie coltivabile d’Europa (oltre il 56% del suo territorio). Nel 2020-2021 è stato il quarto esportatore mondiale di cereali e il quinto produttore mondiale di grano. Nel 2019 è stato il principale esportatore di girasole e olio di girasole, ed è anche tra i maggiori produttori ed esportatori di orzo, patate, mais, segale, miele, grano, tra gli altri. Nell’agricoltura e nella pesca lavorano più di due milioni di operai.
E a questo enorme peso della classe operaia, dobbiamo sommare gli oltre cinquecentomila minatori che alimentano il mondo con la loro produzione. L’Ucraina, riconosciuta per la produzione e le riserve di carbone per il mercato interno e per la Russia, principalmente, ha il 12% delle riserve mondiali di manganese e le maggiori riserve di ferro, di cui è il terzo produttore mondiale, oltre al titanio e al gas di scisto. Inoltre, il 20% del gas che alimenta l’Europa passa attraverso l’Ucraina e il Paese ha la terza più grande produzione di gas nel continente.
L’Ucraina è il Paese con una delle più maggiori concentrazioni operaie d’Europa, e del mondo. Con quarantaquattro milioni di abitanti, ha quindici milioni di lavoratori, di cui due milioni e trecento mila sono operai industriali. E stiamo parlando solo dei lavoratori registrati ufficialmente, quando sappiamo che in Ucraina c’è abbondanza di lavoro nero e precario. E a loro volta, questi dati non considerano i lavoratori di Lugansk e Donetsk, che sono circa tre milioni, concentrando più di duecentomila solo nell’industria mineraria del carbone. Questa è l’Ucraina operaia che la borghesia e la stampa imperialista, e anche le correnti che parlano in nome della classe operaia, vogliono nascondere.
Le correnti che parlano a nome dei lavoratori e non affermano quale sia il cammino e i compiti della classe operaia per fermare il massacro di Putin, il sicario per conto dell’imperialismo, stanno lasciando morire la classe operaia ucraina.
L’imperialismo yankee e europeo e l’esercito bianco di Putin preparano un nuovo patto di spartizione dell’Ucraina, riducendo la nazione a una colonia sotto tutela e ancora più sottomessa e saccheggiata. Per questo hanno bisogno di schiacciare e sconfiggere la classe operaia, cosa che potranno fare solo dividendo le fila degli operai Donbass da quelle degli operai dell’Ucraina occidentale, come hanno già fatto per sconfiggere la rivoluzione ucraina del 2014.
La Russia ha cominciato ad approfondire questa politica di spartizione delle masse ucraine. Già nelle porzioni di Donetsk e Lugansk che sono sotto il suo controllo dal 2014, così come nelle città recentemente occupate da Mosca e che amministra in modo relativamente stabile, come Kherson, hanno già nominato autorità regionali, che vogliono imporre il rublo come moneta corrente, hanno cominciato a pagare pensioni e sussidi che non arrivavano da Kiev a causa della guerra e vengono applicati regolamenti e forme amministrative proprie della Russia, così come la riapertura delle scuole secondo il curriculum russo e con la lingua russa.
Le bande borghesi, Putin e l’imperialismo si leccano i baffi pensando alla spartizione dell’Ucraina. Per fare questo manipolano i sentimenti nazionali delle masse, usandoli a loro vantaggio ed esacerbando questi sentimenti per mettere la classe operaia contro se stessa.
Ma la classe operaia ucraina non ha affari da difendere, solo catene da spezzare. E ha le stesse rivendicazioni di lavoro e salari dignitosi, dal Donbass a Kiev. Ha lo stesso bisogno di difendere la sua casa e la sua famiglia. È la classe operaia, quindi, l’unica che, unendo le proprie fila e guidando tutte le masse sfruttate, può rompere con l’imperialismo, rompere con il Fondo Monetario Internazionale (FMI), espropriare la terra, le fabbriche e le banche e liberare la nazione con la rivoluzione operaia e socialista.
È anche la classe operaia ucraina che può davvero dare il diritto all’autodeterminazione alle masse del Donbass. Così, l’intera classe lavoratrice ucraina supererebbe la divisione e salderebbe la sua unità.
La classe operaia ucraina deve unirsi in difesa della nazione attaccata da Mosca e minacciata dalla Nato!
Ma non può farcela da sola.
Le direzioni traditrici, lo stalinismo e le burocrazie operaie dividono le fila e la lotta dei lavoratori dei Paesi oppressi dai lavoratori dei Paesi centrali. Così separano gli operai ucraini dai loro fratelli europei e russi. Ciò consente alle potenze imperialiste e a Putin di sferrare un brutale attacco contro le masse, nell’Europa occidentale, in Russia e contro la nazione ucraina.
La classe operaia europea e russa deve prendere nelle sue mani e combattere insieme ai loro fratelli d’Ucraina per disarmare la Nato, fermare la macchina da guerra di Putin, espellere il FMI dall’Ucraina e statalizzare e nazionalizzare senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori tutte le imprese imperialiste e degli oligarchi milionari alleati di Mosca o di Francoforte nel saccheggio dell’Ucraina e nel supersfruttamento della sua classe operaia.
Il proletariato russo in particolare ha nelle sue mani il compito di fermare questo massacro. Il compito non è altro che mettere in piedi un movimento per la sconfitta delle truppe controrivoluzionarie bianche di Putin e della fascista chiesa ortodossa, di ampiezza uguale o maggiore di quello che si è costituito negli Usa contro il massacro yankee in Vietnam e poi in Iraq e Afghanistan.
Un battaglione fondamentale del proletariato europeo si dissangua in Ucraina. Non c’è tempo da perdere.
In tutta Europa, dal Portogallo alle steppe russe: una stessa classe, uno stesso nemico, una stessa lotta!
Eliza Funes e Nadia Briante
qui l’originale spagnolo → http://www.flti-ci.org/ucrania/2022/mayo/ucrania-11mayo2022.html